I MANEGGI PER MARITARE UNA FIGLIA
di Niccolò Bacigalupo
Regia Tullio Solenghi
Progetto scenografico Davide Livermore
Con Tullio Solenghi ed Elisabetta Pozzi e con Roberto Alinghieri
Produzione Teatro Sociale di Camogli – Teatro Nazionale di Genova – Centro Teatrale Bresciano
I maneggi per maritare una figlia, la commedia di Nicolò Bacigalupo che fu il cavallo di battaglia di Gilberto Govi, da due anni spopola in Liguria nella versione di Tullio Solenghi, che dello spettacolo è sia regista che interprete principale.
Lo spettacolo – coprodotto dal Teatro Sociale Camogli, dal Teatro Nazionale di Genova e dal Centro Teatrale Bresciano – affronta da questo mese di marzo la sfida di una tournée fuori dalla Liguria, per andare alla conquista anche del pubblico non ligure, come già era successo a Govi stesso.
Al Teatro Alessandrino di Via Verdi 12, nell’ambito della stagione di prosa organizzata da Città di Alessandria, Piemonte dal Vivo con la partecipazione di ASM Costruire Insieme, Mercoledì 13 marzo alle ore 21 andrà in scena “ I Maneggi per maritare una figlia” protagonisti Tullio Solenghi, Elisabetta Pozzi e con Roberto Alinghieri.
Con questo spettacolo, Solenghi ha finalmente realizzato un suo vecchio sogno: trasformare il proprio volto nella maschera-Govi. «Mi è stato chiaro fin da subito – scrive Solenghi nelle note di regia riportate di seguito – che mi trovavo di fronte ad una autentica “maschera” della commedia, e così come non proverei alcun imbarazzo nel riprodurre “lo stampo” scenico di un Arlecchino, mi lascerò docilmente calare nei panni e nella mimica di Gilberto Govi assimilandone ogni frammento, ogni sillaba, ogni atomo. Non esiterei a definirla una sorta di stimolante “archeologia teatrale” che permetta al pubblico odierno, in una sorta di viaggio nel tempo, di rivivere coi Maneggi uno dei momenti più esaltanti della più grande personalità teatrale genovese del secolo scorso.»
Al fianco di Solenghi, nel ruolo di Giggia (che fu di Rina, la moglie di Govi), Elisabetta Pozzi, grande attrice drammatica qui al debutto in un ruolo comico; un esordio che ha entusiasmato tutti, pubblico e critica. Comprimario di classe, nel ruolo del Signor Venanzio, Roberto Alinghieri (anche aiutoregista).
Ad impreziosire l’allestimento, le scene e i costumi di Davide Livermore, che ha voluto rendere omaggio al bianco e nero delle commedie goviane riprese dalla RAI. Fondamentale, poi, per la trasformazione di Solenghi in Govi, il trucco e parrucco di Bruna Calvaresi.
Completa il cast una compagnia di giovani e bravissimi attori, selezionati dallo stesso Solenghi: Stefania Pepe (Cumba), Laura Repetto (Matilde), Isabella Loi (Carlotta), Federico Pasquali (Cesare), Pier Luigi Pasino (Pippo), Riccardo Livermore (Riccardo).
La commedia è in due atti e nel primo Stefano, detto Steva, un piccolo imprenditore di Genova, rientra a casa per pranzare, ma viene informato dalla domestica Colomba che le signore non ci
sono e che da mangiare non c’è nulla perché era lui che avrebbe dovuto acquistare un pesce per pranzo. Infastidito dalla domestica, Steva si rintana nella sua stanza. In quel momento arrivano le donne di casa, la moglie Giggia e la figlia Matilde, piene di pacchi, e si accomodano stanche. Steva le ammonisce, ma le donne non lo ascoltano; inoltre rimprovera la moglie di non avere riguardi per il suo guardaroba, mandandolo in giro come un poveraccio. Incalzato dalla moglie, Steva capisce che gli tocca andare a pranzare in trattoria.
Giggia e Matilde si preparano per andare nella villa di campagna. Arriva la cugina Carlotta, che viene invitata da Matilde ad andare con loro in villa. In quel frangente giungono il signor Pippo e il signor Riccardo, due bravi ragazzi che vengono ritenuti dalla signora Giggia (specialmente il secondo, nobile e figlio di un senatore) come possibili pretendenti per la figlia. Per questo, anche loro vengono invitati in villa.
Nel secondo atto arrivati in villa, Giggia, parlando con Matilde, capisce che alla figlia piace il signor Riccardo e che anche lui sembra nutrire un certo interesse per la ragazza.
Stefano, intanto, tenta di riferire a Cesare quello che suo fratello Michele (il padre di Cesare e Carlotta) gli avrebbe detto. Ma Giggia, dopo aver allontanato Cesare e Matilde con una scusa, obbliga Stefano a dirlo prima a lei: Steva risponde di aver saputo dal fratello che a Cesare piace Matilde e che il nipote vorrebbe chiedere la loro benedizione. Ma Giggia è contraria: Matilde non è interessata a Cesare, bensì a Riccardo, unendosi al quale, inoltre, la loro famiglia ne trarrebbe un notevole vantaggio economico. Stefano è allettato dall’idea, ma è anche troppo affezionato a Cesare per dirgli di no. Cesare, intanto, origliando una conversazione tra Matilde e Riccardo, scopre la verità.
Alla villa giunge il signor Venanzio, un uomo colto che, parlando con Steva e Giggia, accenna a un eventuale matrimonio che potrebbe riguardare la loro famiglia. Giggia, sempre più convinta dell’imminente unione tra Matilde e Riccardo, sparge diverse voci sulla dote (inesistente) di sua figlia.
Ma Stefano scopre, da Pippo, che Riccardo non sarebbe interessato a Matilde e che forse, dunque, le cose non stanno come credono. Giggia, però, non lo ascolta e convince Cesare che non gli daranno mai la mano della figlia. Cesare se ne va via offeso. Poco dopo, però, arriva Matilde che, in lacrime, conferma che Riccardo non è interessato a lei: Giggia va in confusione, mentre Steva si rallegra (per una volta, ha ragione lui e non la moglie). Giggia chiede chiarimenti al signor Venanzio, che rivela la verità: Riccardo vuole sposare Carlotta. Giggia lo caccia via, accusandolo di averli illusi. Giggia e Matilde si scagliano contro Riccardo e Carlotta, mentre Cesare e Riccardo, cercando spiegazioni, scoprono anche loro la verità. Non volendo fare una brutta figura, Giggia dà la colpa al marito di tutto e, alla fine, ammette che Cesare sarebbe un buon partito per la figlia.
Steva si prende la rivincita recitando la morale della vicenda: quando arriva il momento di pensare al matrimonio dei propri figli, bisogna farsi guidare dal cuore e dal cervello, non dall’avidità e dalla cupidigia.
“I MANEZZI” APPUNTI DI REGIA DI TULLIO SOLENGHI
La prima scelta fondamentale nell’approccio ai “Manezzi”, autentico totem della produzione Goviana, è stata quella di come affrontare il ricatto/rischio della “clonazione”, restituendone comunque gli stilemi interpretativi dai quali non si può assolutamente prescindere. Mi è stato chiaro fin da subito che mi trovavo di fronte ad una autentica “maschera” della commedia, e così come non proverei alcun imbarazzo nel riprodurre “lo stampo” scenico di un Arlecchino, mi lascerò docilmente calare nei panni e nella mimica di Gilberto Govi assimilandone ogni frammento, ogni sillaba, ogni atomo. Non esiterei a definirla una sorta di stimolante “archeologia teatrale” che permetta al pubblico odierno, in un sorta di viaggio nel tempo, di rivivere coi “Manezzi” uno dei momenti più esaltanti della più grande personalità teatrale genovese del secolo scorso. Se il nostro dialetto diventò “lingua” lo si deve al genio Govi. Come scriveva nel 1923 il critico teatrale dell’Ambrosiano Ettore Romagnoli “Una cosa non sono riuscito ad ammirare mai, il dialetto genovese, m’è sembrato sempre aspro, poco pittoresco e di cadenza monotono, ho sempre dubitato che potesse divenire uno strumento d’arte, ma ieri sera a giudicare dall’accoglienza entusiastica del pubblico, nessuno tra i dialetti d’Italia, né il toscano, né il siciliano, né il napoletano, né il veneziano, si prestano come il genovese a scrivere una commedia e a far ridere il prossimo, e il merito è della compagnia di Gilberto Govi, un attore che appena si presenta in scena si impadronisce dell’animo del pubblico, simpatico, convincente, euforico, è inutile discutere, Gilberto Govi è proprio un magnifico attore, che meriterebbe non solo un breve cenno, ma uno studio ampio e ragionato.”
L’impresa è di sicuro ardua, ma al tempo stesso affascinante, riuscire a misurarsi con l’universo Govi è un privilegio che inseguo da anni, da quando ragazzino nella mia S. Ilario un giorno si sparse la voce che al ristorante del paese c’era Govi, ci precipitammo tutti abbandonando i nostri giochi, ce l’ho ancora davanti, sorridente, disponibile, mentre tracciava lo schizzo della sua maschera su un tovagliolo immacolato che ci rimase come prezioso cimelio. Da allora il mio sogno è di portare in scena quella maschera.
CAST
personaggi ed interpreti:
STEVA Tullio Solenghi
GIGGIA Elisabetta Pozzi
CUMBA Stefania Pepe
MATILDE Laura Repetto
CARLOTTA Isabella Maria Loi
CESARE Federico Pasquali
PIPPO Pier Luigi Pasino
RICCARDO Riccardo Livermore
VENANZIO Roberto Alinghieri
Regia Tullio Solenghi
Regista assistente Roberto Alinghieri
Scene e costumi Davide Livermore
I biglietti per lo spettacolo si possono acquistare anche on line su:
www.teatroalessandrino.it / www.ticketone.it